Perché alle zebre non viene l'ulcera?


8 febbraio 2022


“Perché alle zebre non viene l’ulcera?” – È il titolo di un interessante libro che prende in

esame le conseguenze fisiche a cui si va incontro in seguito a stress prolungato. Il

neuroscienziato Sapolsky ci fa notare che il nostro organismo attiva le stesse risposte

neurofisiologiche che attiva l’organismo di un animale di fronte allo stress, senza riuscire

però a disattivarle con la stessa facilità.


Tante volte succede di essere sorpresi da eventi che ci scombussolano la vita e che, anche

una volta sistemati, ci lasciano al tappeto privi delle energie sia fisiche che mentali per poter

andare avanti come prima. In altre parole, non siamo bravi a dimenticarci del pericolo

appena scampato quanto una zebra appena sfuggita alle grinfie di un leone. Una vera

seccatura, no? L’unica e imputabile responsabile é innegabilmente la nostra mente.

Questa “resistenza alla dimenticanza”, che si può esprimere anche attraverso il corpo, come

potranno testimoniare gran parte delle persone che soffrono di disturbi psicosomatici, tra cui

l’ulcera, ha costretto il settore accademico a riflettere su l’imprescindibile interconnessione

tra mente e corpo. Essa rende noi esseri umani unici: attori consapevoli che attraverso

l’esercizio della volontà conducono l’agire del corpo e, allo stesso tempo, destinatari delle

risposte e reazioni che il corpo restituisce.


Mens sana in corpore sano: L’importanza del mente-corpo.

“Mens sana in corpore sano”, è la celebre locuzione latina che richiama alla stretta alleanza

tra mente e corpo.

Che sussista un rapporto tra l’entità corporea e l’entità mentale, al giorno d’oggi, risulta

innegabile. Se volgiamo lo sguardo agli albori della storia della filosofia della mente e alle

sue teorizzazioni, però, è facile rendersi conto di come l’esistenza stessa di una mente, la

sua materializzazione attraverso il corpo e lo scambio comunicativo tra le due parti, sia stata

a lungo fonte di perplessità e scetticismo. Il dualismo cartesiano, per esempio, teorizzava

mente e corpo come due entità indipendenti e ontologicamente differenti, ponendo il

problema della comunicazione tra le due parti e delle sue eventuali modalità.

Attualmente sappiamo che la mente “vive” attraverso il corpo ed agisce su di esso, come

accade anche l’esatto inverso.


La nostra identità e il nostro modo di percepirci includono sia aspetti fisici che caratteriali.

Potremmo mai dire di essere noi stessi senza il corpo che abitiamo dalla nascita? E, tanto

meno, potremmo dire di essere noi stessi ad abitare quel corpo se non ci fosse la nostra

mente modellata da esperienze irripetibili, percezioni e caratteristiche uniche?

Per quanto avanzate siano le neuroscienze, buona parte dei meccanismi che regolano

questa convivenza sono sconosciuti. Siamo organismi estremamente complessi e

meravigliosamente equipaggiati per vivere in equilibrio, anche se alcune volte le cose si

fanno complicate.


É chiaramente un rapporto di stretta comunicazione che può avere conseguenze evidenti.

Una mente timorosa può rivelarsi nel portamento o nella prossemica; una mente sofferente

si può esprimere attraverso sofferenze corporee, come accade nelle somatizzazioni. Allo

stesso modo un corpo nutrito e curato in modo adeguato restituisce effetti positivi alla mente

che si rinvigorisce.

Il corpo è simbolicamente la casa della mente. Una padrona di casa sofferente o distratta

non può mantenere la casa in ordine e in grado di essere funzionale. Allo stesso tempo una

casa mal tenuta e buia non offre un buon ambiente a chi la abita.

La comunicazione, come accennato prima, non è mai unilaterale ma è sempre “doppia”: la

mente si incarna attraverso il corpo e il corpo confina e definisce la mente.

Utilissimo é, quindi, cercare di fare in modo che i due inquilini di noi stessi (mente e corpo)

vadano il più possibile d’accordo.


I benefici di un lavoro a 360 gradi su noi stessi

Per poter trarre i maggiori benefici da un lavoro a 360 gradi su se stessi sarebbe ottimale

includere entrambi: affiancare il lavoro introspettivo e di riflessione (più mentale) al lavoro più

pratico e fisico partendo dall’attività motoria, dalla postura o dal tocco.

Molte tecniche psicoterapeutiche ben consapevoli di questa doppia direzione utilizzano

stimoli sensoriali e corporei per produrre cambiamenti a livello mentale (tecniche definite

bottom-up) o, più tradizionalmente, compiono il percorso inverso (tecniche top-down).

L’atteggiamento del nostro corpo, oltre che a comunicare qualcosa di noi all’esterno,

comunica qualcosa di prezioso anche all’interno ed é capace di influenzare la mente. Non a

caso in sede di un colloquio di lavoro ci metteremo in una posizione corporea che trasmetta

l’idea di self-confort e autorevolezza al nostro interlocutore e ovviamente in primis a noi

stessi che affronteremo la prova con più grinta. Non staremo di sicuro rannicchiati sulla

sedia!


Oltre che nell’ambito della psicoterapia, da svolgersi in seduta con gli addetti ai lavori, è

possibile agire sul corpo semplicemente mettendolo in moto e dedicandosi a esso.

Un’attenzione che può incontrare anche la cura estetica, ma non necessariamente.

L’attività fisica, si sa, previene innumerevoli problemi come diabete, osteoporosi, pressione

alta, obesità. A questo si aggiunge il fatto che è in grado di prevenire e alleviare

sintomatologie ansiose, depressive o correlate ad altri disagi emotivi. L’esercizio fisico,

quindi, può essere considerato un trattamento coadiuvante per diverse malattie mentali. Un

possibile meccanismo neurobiologico alla base degli effetti positivi dell’esercizio è l’aumento

della sintesi e del rilascio di neurotrasmettitori e neurotrofine, che porterebbero a un

miglioramento nella neurogenesi, angiogenesi e neuroplasticità cerebrale (Dishman et al.,

2006) oltre che la sinaptogenesi (Duman RS, 2005).


I meccanismi fisiologici che portano ai benefici finali che si è in grado di percepire sono

molto complessi, ma ci basta sapere che si attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA),

l’asse deputato alla gestione dello stress (Stranahan et al., 2008). Durante uno sforzo fisico,

infatti, il cervello sottoposto a stress attiva la secrezione delle endorfine che sono potenti

antalgici e oltre a combattere il dolore portano a percepire un senso di appagamento. Le

endorfine non sono le uniche a intervenire: il sistema nervoso secerne anche altre sostanze

tra cui la serotonina che contribuisce alla riattivazione e al ritrovamento di un equilibrio

talvolta dimenticato (Cascua, 2004).


Per concludere, possiamo dire che esistono molte vie per ricominciare a stare bene: si può

partire dalla mente o si può partire dal corpo. Sicuramente, però, qualsiasi strada si scelga

per iniziare prima o poi essa si incrocerà alle altre e ne influenzerà il percorso.

Nel lavoro psicologico in studio con i pazienti è facile incontrare persone “perse” nella

propria mente, prigioniere di un mondo etereo e sospeso. Queste, molto spesso, non

ricordano più il percorso da compiere per tornare al proprio corpo, alla carne, alle ossa e alle

sensazioni del vivere incarnati e in equilibrio con i vari aspetti di sè.

Tracciare di nuovo i confini corporei può, in questi casi, essere la chiave di volta: porre

l’attenzione sulle misure e i pesi del corpo per poter ricominciare ad evaderli e superarli

attraverso la mente, in modo sano e bilanciato.

Autori: Dott.ssa Zarina Zargar e Dott.ssa Chiara Massobrio

BIBLIOGRAFIA

-Sapolsky R., Perché alle zebre non viene l’ulcera?, Castelvecchi 2018

-Dishman RK, Berthoud HR, Booth FW, Cotman CW, Edgerton VR, Fleshner MR, Gandevia SC, Gomez-Pinilla F, Greenwood BN, Hillman CH, Kramer AF, Levin BE, Moran TH, Russo-Neustadt AA, Salamone JD, Van Hoomissen JD, Wade CE, York DA, Zigmond MJ: Neurobiology of exercise. Obesity (Silver Spring) 2006;14:345–356.

-Duman RS: Neurotrophic factors and regulation of mood: role of exercise, diet and metabolism. Neurobiol Aging 2005; 26(suppl 1): 88–93.

-Stranahan AM, Lee K, Mattson MP: Central mechanisms of HPA axis regulation by voluntary exercise. Neuromolecular Med 2008; 10:118–127.

-Cascua, S., (2004), Lo sport fa davvero bene alla salute? Milano: Red editore


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